domenica 14 ottobre 2007

Dubliner for a week



Ci ho messo veramente tanto a scegliere la foto che descrivesse questo mio viaggio terminato pochi giorni fa. E in quelle foto ho rivissuto i momenti gioiosi di questa vacanza. L'Irlanda è un paese che non conoscevo assolutamente. Ne avevo sentito parlare da amici e parenti, ma erano racconti che io ascoltavo con poco interesse. Non so perché. Ora invece ho toccato con mano. Ho vissuto questo paese da turista, ovviamente, ma l'ho visto. Ho visto gli abitanti, le loro abitudini, i luoghi. Ho visto anche le persone di diversi paesi europei che cercano fortuna, lavoro, successo in questa bella capitale europea. Il mondo del lavoro irlandese sembra simile al vento che soffia lassù. Un vento forte, costante, un vento di cambiamenti. Se dopo 6 mesi non ti alzano lo stipendio cambi lavoro e te ne trovi uno meglio. In Italia invece questo vento si affievolisce fino ad essere quasi nullo. Non è che sia così esperta del mercato del lavoro. Anzi non ne sono esperta affatto visto che ufficialmente sono ancora studentessa. Ma ho ascoltato i racconti delle persone che ho incontrato là e, non lo so, forse ne varrebbe davvero la pena di prendere e andare lassù, tra nuvole, vento e pioggia a costruirsi una carriera. Di certo stimo tutti coloro che sono lassù, che riescono a vivere in quel paese che a un turista sembra bellissimo. Ma se guardi bene ci sono cose che sono difficili da accettare.
In centro ci sono delle vie, in particolare Grafton St. e Henry St., che sono zone pedonali. Piene di negozi. A tutte le ore del giorno e della notte queste strade sono piene di persone, di "professional shopper" che acquistano prodotti di scarsa qualità, che rendono impossibile un passaggio senza urtarsi l'un l'altro, che si scusano formalmente ma in realtà se ne sbattono se ti hanno maciullato un alluce con i loro tacchi a spillo. Queste persone, soprattutto il sabato e la domenica, assaltano i negozi come cavallette (espressione di Sara), tanto che se ci vai già verso le 11 del mattino non c'è un capo al suo posto. Nei negozi di vestiti tutto è buttato lì. Se mi provo una giacca non la rimetto nella gruccia ma la accatasto sulle altre. Se guardo come è fatta una magliettina, ma non mi piace la butto lì e chi se ne frega se poi casca in terra. L'effetto che mi fa è difficile da spiegare perchè non sono mai stata brava con le parole. Ma credo che la mia descrizione renda abbastanza l'idea.
Un'altra cosa che non riuscirò mai ad accettare è l'abuso di alcool. Non lo nego a me piace bere. Non sempre però. Ma ogni tanto mi capita di avere la percentuale di alcool sopra la media, anche se sempre con moderazione. Sembra strano che io mi stupisca così tanto dell'abuso di alcool in Irlanda dopo che sono sopravvissuta alle feste nel campus a Perth. Ebbene sì cari Mads, Raphael, Tim, Pat, Andy, voi non bevevate come i vostri colleghi irlandesi. O almeno non mi è mai capitato di vedervi nelle loro condizioni. Il sabato mattina capita normalmente di dover fare lo slalom tra il vomito dei frequentatori delle decine di locali di Dublino. Quando ci sei dentro questi locali devi stare attento a non farti rovesciare addosso tutti quei litri di Guinness che si bevono questi simpaticoni.
Ecco. Ho finito con la descrizione degli aspetti negativi, che forse sono stati influenzati dalla compagnia di Sara. Tutto il resto è una città bellissima, un popolo simpatico. Campagne piacevoli e rilassanti con quelle mucche, quelle pecore e quei muri a secco costruiti per far passare il vento dalle fessure. Le mitiche isole Aran della canzone di Fiorella Mannoia, lo strapiombo delle Cliffs of Moher, che a detta dei francesi è più alto della torre Eiffel. Ci sono tante altre cose che mi sono rimaste in mente, come il tono bassissimo di voce dei cittadini di Galway, o il croccantissimo Fish and Chips in un quartiere malfamato di Dublino. La prigione Kilmainham Gaol piena di storia e di orgoglio irlandese, o lo scorrere tempestuoso del fiume di Galway.
Di sicuro mi resteranno bei ricordi di questa vacanza. Sia per il paese che ho visitato, che per la persona che mi ha accompagnato e ospitato e che non finirò mai di ringraziare per questo. Ma dubito che potrei viverci per più di quanto ci ho vissuto. E questo a dire il vero mi spaventa.